Area riservata

Username
Password
 
 
Registrati sul nostro portale
Username o password dimenticati?
Links

Tintarella non mi lasciar…


Tintarella non mi lasciar…
Alzi la mano chi, al ritorno delle vacanze, non vorrebbe prolungare l’effetto dell’abbronzatura sulla pelle. Sarà per questo che il mercato degli autoabbronzanti in Italia è in netto aumento (+4/5%), a fronte della leggera flessione degli altri prodotti solari, che invece evidenziano una contrazione del 2/3% (fonte dati di Unipro 2010). Risultati ottenuti grazie alla continua innovazione cosmetica, che ha permesso d’incrementare le performance.
Alla base della formula di un autoabbronzante, una molecola, il didrossiacetone, ossia uno zucchero con la capacità di formare dei composti colorati, legandosi ad alcuni amminoacidi presenti sulla superficie della pelle. Il colore che si sviluppa è resistente all’acqua, ma si elimina progressivamente, con il rinnovamento dello strato corneo, attraverso la naturale esfoliazione dell’epidermide.

Il parere dell’esperto
L’abbronzatura artificiale, modulabile a piacere in base alle formulazioni, al numero di applicazioni e alla loro frequenza, colora viso e corpo senza effetti collaterali, mettendo la pelle al riparo dai danni provocati da sole e lampade solari. “Che, invece, ispessiscono lo strato superficiale, rendendo la cute più rugosa e ruvida, e minano le strutture profonde, facendo perdere elasticità e luminosità. È ormai noto che gli UVA, i raggi UV erogati da queste lampade risultano ancora più pericolosi degli UVB. Sono i principali responsabili del photoaging, l’invecchiamento indotto dalla luce, perché oltrepassano la barriera superficiale cutanea e arrivano fino al derma, dove possono danneggiare le fibre elastiche e le membrane cellulari, accelerando la comparsa di rughe e macchie, oltre a compromettere il tono e la compattezza della pelle”, commenta Magda Belmontesi, dermatologa.
L’applicazione di un autoabbronzante va eseguita sull’epidermide di
viso e corpo perfettamente pulita e asciutta, ma anche priva di irregolarità in superficie che ne comprometterebbero la resa, favorendo discromie, accumuli di colore e punti neri, perché colorando gli strati superficiali della pelle, tendono a scurire il sebo contenuto nei pori. Per questo sono utili gommage o scrub che perfezionano l’uniformità della carnagione l’incarnato. Subito dopo l’uso, occorre lavare bene le mani con acqua e sapone, spazzolando le unghie per evitare che si colorino, a causa della reazione della molecola abbronzante con la cheratina (proteina cardine delle unghie). A quel punto, serve lasciare assorbire completamente prima di vestirsi, senza fare il bagno o la doccia prima che siano trascorsi almeno trenta minuti, per non compromettere l’effetto finale.

I vantaggi della ‘fake tan’ (abbronzatura artificiale)
L’evoluzione delle formulazioni abbronzanti ha perseguito la strada di abbinare la molecola DHA ad attivi che rendono maggiormente naturale la colorazione, velocizzano i tempi di azione, aumentando il comfort cutaneo e la gradevolezza del cosmetico.
Al fine di rendere le formule dei self-tan anche trattanti, sono stati aggiunti ingredienti idratanti, antiossidanti e anti-age, al fine di lasciare l’epidermide più elastica e vellutata, proteggerla dai radicali liberi e contrastare l’invecchiamento precoce. Così, le emulsioni sono diventate ultra-fini, per incrementare l’assorbimento, e le profumazioni più fresche e gradevoli. Decisivo, altresì, l’inserimento dell’eritrulosio, zucchero di origine vegetale, che evita colorazioni difformi (tipiche quelle a ‘macchia di leopardo’), dovute alla diversa composizione degli amminoacidi presenti in ogni pelle.
Interessante è pure l’utilizzo delle ciclodestrine, cioè molecole che racchiudono il principio attivo e lo veicolano nella pelle, cedendolo in modo controllato. Inserite in un autoabbronzante, permettono una presenza costante del DHA sulla pelle, assicurando un completo legame con la cheratina. Così sono eliminati eventuali fenomeni irritativi caratteristici della forma libera e il tipico odore dovuto ai sottoprodotti della molecola.
Ulteriori passi avanti si sono fatti pensando di coinvolgere il melanosoma e la sintesi di melanina, mediante l’uso di betaendorfine, che agiscono stimolando la sintesi di melanina senza l’esposizione al sole. Risultati che derivano dagli studi di neurodermatologia, che ha dato impulso alla scoperta di nuove sostanze che, attraverso un’azione neurofisiologica, offrono benefici cosmetici. Così la ricerca ha messo a punto un neuropeptide, capace d’indurre la melanogenesi, in quanto attiva un ormone melanotropo, prodotto dall’ipofisi, che agisce sui melanociti cutanei inducendo la sintesi della melanina, quindi della pigmentazione cutanea.