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 Cheratosi attinica: una nuova ed efficace terapia 



 L’invecchiamento è (ahimè) un processo irreversibile in cui il sole gioca un ruolo molto importante. Tant’è vero che esiste una classificazione del photaging, la scala di Glogau, che prevede quattro classi di invecchiamento. Ebbene è proprio nel terzo e quarto grado che possono iniziare a comparire le cheratosi attiniche che, da visibili, con il tempo diventano sempre più evidenti.

 

Si tratta di macule o placche eritemato-squamose ruvide al tatto, isolate o multiple, a volte pruriginose, su aree fotoesposte, come cuoio capelluto, viso, décolleté. I numeri sono in aumento: in Italia i dati parlano di una prevalenza del 27,4%, di cui 34,3% uomini e 20% donne, con aumento dopo i 40-50 anni.

 

 “Tra i fattori di rischio, l’età avanzata, il sesso maschile, il fototipo cutaneo chiaro, l’immunosoppressione nei trapianti e, naturalmente, l’esposizione solare. È quindi più a rischio chi svolge lavori all’aperto, tra cui muratori, contadini, marinai oppure chi, per passione, pratica sport che fanno trascorre molto tempo al sole, come ad esempio vela, golf, sci, windsurf”, spiega Magda Belmontesi, dermatologa a Milano e Vigevano.

 

Il problema è l’evoluzione di queste apparentemente innocenti macchioline rosate che il Ministero della Salute ha ormai inserito tra i tumori della pelle.

 

“Si stima che il rischio di progressione in carcinoma squamo-cellulare sia per singola lesione tra lo 0,025% e il 16% per anno. E che pazienti con più di 10 lesioni hanno una probabilità cumulativa pari al 14% di sviluppare questo tipo di tumore in 5 anni”.

 

La terapia del campo

L’obiettivo principale della terapia delle cheratosi attiniche, eradicare il maggior numero possibile di lesioni cliniche e subcliniche, ossia il cosiddetto ‘field’: tutta la regione affetta (anche detta ‘campo di cancerizzazione’) dalla patologia. Tra gli obiettivi secondari, migliorare la qualità della pelle e la qualità di vita e ridurre il rischio di altri tumori UV-indotti.

 

“Le singole lesioni vengono trattate con crioterapia, laser CO2 o curettage (una sorta di ‘raschiamento’ della lesione) con l’obiettivo di distruggere i cheratinociti atipici della singola lesione. Recenti studi hanno poi dimostrato che, in presenza di più di cinque lesioni, anche tutta la cute circostante deve essere trattata. Per questo si parla di terapia del “field’, in quanto tratta sia le lesioni manifeste che le aree circostanti foto-danneggiate al fine di distruggere anche i cheratinociti atipici a livello subclinico. In questo caso si usano dei preparati topici (come  5-fluorouracile,  Ingenolo-mebutato, Diclofenac, Imiquimod) e  terapia fotodinamica).

 

“La terapia fotodinamica ‘classica’ prevede un impacco con una crema a base di acido 5 alfa-aminolevulinico da tenere e poi esporre alla luce di un Led o di una lampada al plasma, per attivare e la crema fino a distruggere la lesione”.

 

“Quella di più recente introduzione, la daily light phototerapy, prevede l’applicazione di una crema con metilaminolevulinato al 16% attivata però dalla semplice esposizione solare. In questo modo si evita l’esposizione a intense sorgenti luminose che, potenziando l’acido, ‘bruciano’ la pelle provocando dolore”.

 

“Alla base del ridotto dolore associato alla terapia ‘light’ sembra esserci il fatto che la reazione ‘micro-fototossica’ è attivata in modo continuo e graduale dalla luce solare. E, nonostante la superiore efficacia della terapia fotodinamica ‘classica’ a lungo termine, nella versione ‘light’ uno studio attesta che l’87% delle lesioni risolte a 3 mesi, risultava ancora in remissione a 1 anno”.                        

 

La novità è un protocollo intelligente nel fotoaging avanzato che associa la daily light phototerapy con metilaminolevulinato con l’utilizzo di Gel Nasha ad azione Skinbooster: un trattamento iniettivo per la ‘cura’ della pelle, con effetti di miglioramento progressivo, consolidato e di lunga durata della qualità della pelle.

 

“Il razionale dei risultati e della lunga durata – spiega l’esperta – sta nello ‘stretching’ meccanico dei fibroblasti (le cellule che producono le fibre elastiche e di sostegno della pelle) e la progressiva neosintesi di collagene, con il conseguente ripristino della matrice dermica”.

 

“Dopo la diagnosi iniziale – spiega la dermatologa – a casa il paziente applica per 15 giorni una crema cheratolitica con una concentrazione di urea pari al 30%. Trascorsi 15 giorni, il dermatologo in ambulatorio applica il farmaco in crema, mentre il paziente espone la zona per due ore alla luce del sole, dopodiché l’esperto controlla la lesione e rimuove il prodotto. A casa la terapia proseguirà con l’applicazione di creme o emulsioni emollienti e un’alta fotoprotezione quotidiana per 20 giorni. Trascorsi i quali, si inizia il trattamento con Gel Nasha ad azione Skinbooster, che prevede 3 sessioni, una al mese, e un follow-up con Daylight a 3 mesi”.